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lunedì 24 dicembre 2018

Per rallegrare il Natale...


RACCONTO DI NATALE 2018                      

    Dall’ultimo piano di una vecchia casa alta e stretta, dalla facciata giallognola e dai tetti in ardesia scalcinata si può vedere il mare. Il quartiere nel quale si trova appare oggi decisamente estraneo a quanto lo circonda dimostrando tutto il tempo trascorso dalla sua costruzione: chi vi si avventura spesso si chiede come sia potuto sopravvivere all’avanzare della modernità. L’effetto potrebbe essere quello di una singolare dimenticanza, come se sulla mappa del piano regolatore fosse caduto qualcosa che avesse cancellato lo spazio corrispondente a quel gruppo di case impedendo di intervenire in quella zona.

   Comunque quella casa è ancora là, le scale sono strette e ripide e conducono a quello strano appartamento sormontato da una soffitta angusta e appena illuminata da un finestrino cadente. I proprietari hanno traslocato da tempo altrove lasciando molte delle loro vecchie cose in quell’abbaino polveroso, troppo faticoso portare via quegli oggetti inutili.

   Sedie tarlate, cassapanche sbilenche, valigie sgangherate, poltrone scolorite, biciclette con i freni a bacchetta, perfino un triciclo, mobili vetusti, quadri raffiguranti paesaggi improbabili, uno scaldino, montagne di libri, abiti, attrezzi di ogni genere, canne da pesca si contendono l’angusto spazio senza consentire il minimo movimento all’eventuale presenza umana, spostare anche solo un oggetto significherebbe scatenare una vera e propria apocalisse.

   Eppure ad un attento osservatore quello poteva apparire un intero mondo: quegli oggetti erano la testimonianza della vita di almeno un paio di generazioni, del passaggio di molti bambini, già, perché c’era anche una certa quantità di giocattoli, malconci e rotti, ma con un loro fascino: soldatini deformi, un fortino che aveva vissuti molti attacchi feroci, un meccano, dei trafori, bambole senza testa, le statuine del presepio, macchinine e, naturalmente, l’immancabile scatola, rossa in questo caso, del trenino elettrico.

   La scatola rossa però era stata riposta con cura all’interno di un grande baule borchiato, di quelli che si usavano un tempo per viaggiare, il quale giaceva ben protetto nel punto più lontano della soffitta. Forse l’ultimo abitante della casa gli aveva riservato un certo riguardo: in quel baule aveva pensato di riporre i giochi più cari e il trenino doveva essere il più importante.

   Certamente doveva essere stato un regalo di Natale, chissà di quale anno lontano. Degli anni cinquanta o sessanta, probabilmente.

   Ad aprire la scatola, sempre ammesso che fosse possibile arrivare al baule superando i tanti ostacoli, si sarebbe scoperto che, disposte in bell’ordine, dentro c’erano la locomotiva, una graziosa riproduzione di una locomotiva di quelle che potevano anche emettere il vapore, alcune vetture passeggeri e diversi merci per il carbone, oltre ad un  mucchio di rotaie e l’alimentatore.  Osservandola con attenzione si scopriva che aveva anche un nome, c’era una targa frontalmente tra i respingenti, si chiamava 007.

   Dunque 007 doveva essere lì a dormire da diversi anni, e chissà quali sogni aveva fatto durante tutto quel tempo, chissà per quanti natali aveva atteso di poter dimostrare ancora la sua potenza, perché sicuramente avrebbe potuto farlo visto che accanto alla scatola sul cui coperchio era riprodotta la sua immagine, c’era un’altra cassa più grande dentro la quale c’erano i pezzi di un grande plastico che riproduceva un paesaggio alpino. Era uno scenario imponente dotato di stazione, segnaletica, un paio di gallerie, alberelli, un ponte, le montagne innevate e altri ameni componenti.

   Ma 007 non dormiva, aspettava fiduciosa il ritorno di un bambino. Si ricordava di essere passata per molte mani, alcune anche maldestre, che non erano riuscite a metterla in assetto per partire; si ricordava, purtroppo, perfino di un paio di cortocircuiti per avevano rischiato di farla smettere di funzionare per sempre. Che sofferenza aveva provato il suo motorino, ma aveva resistito! Lei non era più uno stantio giocattolo del tempo della 125, apparteneva già al mondo della 220. Eppoi quello che contava, lo sapeva bene, erano gli ampere, era la corrente l’elemento che la faceva filare velocemente sui binari, passare sotto i ponti e scalare le salite tirando una bella serie di vagoncini cromati e luccicanti.

   Poi finalmente era finita nelle mani giuste, non ricorda come si chiamasse quel bambino e la data di quel Natale, ma aveva capito subito di essere in mani esperte, forse il papà di quel monello era un ferroviere. Fatto sta che la mattina di Natale di quell’anno lontano si trovava sotto un bell’albero illuminato insieme a tanti altri regali che tutto sommato considerava meno importanti ed era pronta e scattante come non mai, pronta a dimostrare tutto il suo valore.

   Si accorse subito che avevano preparato lo spazio giusto per consentirle di sfrecciare al massimo delle sue possibilità, avrebbe potuto addirittura attraversare diverse stanze della casa perché le rotaie scomparivano negli zoccoli delle pareti. Il bambino non stava più nella pelle, aveva gli occhi che luccicavano quando finalmente la portarono in stazione e attaccarono i vagoni e poi finalmente collegarono l’alimentazione e poté partire per la sua missione preferita, correre a più non posso sfidando ogni regola, deragliando ogni tanto quando incontrava una curva traditrice, ma riprendendo sempre ostinatamente a macinare chilometri. Fece la felicità di quel bambino per molto tempo, anche quando non era più così tanto un bambino. Poi accadde qualcosa di inspiegabile, il plastico venne ridotto di dimensioni: 007 non poteva più scorrazzare da una stanza all’altra dell’appartamento, il suo percorso venne limitato ad uno stupido semicerchio, senza scambi e salite, e qualcuno si divertiva a farla deragliare infilando degli oggetti sulle rotaie. Non c’era più quel bambino tanto caro che, ipnotizzato, la stava a guardare correre forsennatamente e batteva le mani o cantava qualcosa per incitarla a superare le salite. Ma il peggio doveva ancora venire, 007 lo ricordava come un affronto: venne smontata e rimontata più volte senza motivo, perché sapeva di essere perfettamente funzionante. E infine la tragedia quando arrivò la notte di Natale nella quale comparvero l’autopista e il robotino.

   Per 007 era giunta la fine, l’oblio. La reclusione nella buia soffitta, lontano dalle grida di gioia dei bambini, pareva una condanna definitiva da scontare insieme ad altri sfortunati giocattoli ed oggetti ormai passati di moda. C’era però una cosa che le dava fiducia e speranza, il suo nemico principale non poteva raggiungerla, lassù era al sicuro perché non c’era umidità. Così avrebbe potuto aspettare il Natale durante il quale si sarebbero ancora ricordati di lei.

   Nel frattempo si teneva in esercizio percorrendo con la mente tracciati notevolmente impegnativi lungo territori impervi, ricchi di viadotti e gallerie, con climi estremamente rigidi che rendevano le rotaie di vetro o altre linee altrettanto faticose estenuata da torride temperature. E gli orizzonti per 007 non avevano segreti e limiti, i suoi fanali brillavano nella notte e mordevano il terreno delle sterminate pianure senza sosta. Finché accadde qualcosa che la strappò dal suo limbo…

Venne ancora la notte di Natale, la soffitta era avvolta dal buio, ma si sentivano delle persone ridere e scherzare nell’appartamento sottostante. Poi dei rumori nelle scale, si accese una luce e apparve una persona anziana che si muoveva con fare incerto e dietro di lui un ragazzino che continuava a dire:

   “Nonno, nonno fai presto, voglio vederla in funzione…”

   Il vecchio aprì il baule e prese la scatola, l’aprì e sorrise. Riconobbe 007 e disse al nipote:

   “Eccola qui, adesso vedrai come si comporta una vera locomotiva!!”